martedì 27 ottobre 2009

BOOKMARKS 
otto artisti, otto proposte, un percorso



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otto artisti, otto proposte, un percorso

28 ottobre – 14 dicembre 2009

Opening + dj Stra - 28 ottobre a partire dalle 18

I nostri bookmarks intendono proporre un percorso possibile nel lavoro di otto artisti emergenti, differenti per media impiegati e tematiche affrontate. L'idea di ricorrere al termine bookmark (segnalibro) ci pare utile proprio per indicare un itinerario fatto di pratiche eterogenee.
I bookmarks rappresentano, oggi, uno degli elementi costituenti della dimensione sociale della rete. Non solo elenchi e promemoria personali, ma strumenti di condivisione che vengono diffusi e scambiati per aprire nodi della rete e per allargare comunità.
Con questo spirito, oltre alle opere, nella mostra sarà inserito uno spazio in cui ogni visitatore potrà proporre i propri bookmarks artistici e consultare quelli degli altri. L'idea è quella di declinare lo spazio espositivo come social bookmarking, in cui non siano (come accade nei motori di ricerca) algoritmi a guidare la nostra navigazione, bensì scelte semantiche dei singoli visitatori.

____________English version____________

Our bookmarks want to suggest one possible path through the work of eight artists, different in terms of media and topics. The idea of using the term bookmark seems useful in order to describe an itinerary made of very different artistic approaches.
Bookmarks are today one of the constituent elements of the social dimension of the net. Not only lists and personal reminders, but actual instruments of sharing which can open the net to new knots and can enlarge existing communities.
Following this logic, besides the works of art, the exhibition will host a space in which every visitor will be free to write his/her personal art bookmarks and to read other’s suggestions.
The idea is that of thinking the exhibition space as a process of social bookmarking. This means that we are not using algorithms (as it happens with traditional search engines) to guide the navigation but rather a series of semantic choices of the single visitors.

Artisti



Osvaldo Galletti

Osvaldo Galletti è nato a Treviso nel 1980, si è laureato in filosofia all´istituto universitario Cà Foscari. Ha seguito alcuni corsi d´arte alla facoltà di architettura di Venezia. Tra le sue esperienze espositive: la partecipazione al workshop "Real Presence" a Belgrado, l’esecuzione di una performance alla Fondazione Mudima di Milano per L´associazione Takla e il progetto di una serie di costumi per la parata del carnevale Ambrosiano.
Giacomo Giovannetti
Giacomo Giovannetti e' nato a Senigallia il 4 febbraio 1983.
La sua opera nasce da un idea di arte che, dall'ombelico esterno dell'artista, passi al"coshco", ombelico interno del cosmo che nella tradizione Kechua rappresenta un baricentro possibile dove appoggiare la totalita'.
Cerca una prospettiva visiva che non escluda, una carezza alla frammentarietà delle nostre vite verso una pluri-identita' possibile: ludica, familiare, intima, multisessuale profondamente
passionale, animale, interculturale e sinceramente amichevole.
Vive ad Ambato, in Ecuador,dove sta creando un centro artistico per ragazzi che vivono in strada.

GRID

GRID è una collaborazione tra Paolo Caffoni (Italia1984) e Jose Roberto Shwafaty (Brasile 1977). GRID nasce a Milano nel 2008, ma oggi i suoi fondatori vivono a Berlino e S.Paolo. GRID affronta campi di lavoro differenti, il design critico, l’economia politica e le possibilità di distribuzione. I media impiegati vanno dalle conferenze, alle pubblicazioni agli interventi, fino ai progetti curatoriali

Stefano Lupatini
Nato a Brescia il 27 Novembre 1976. Vive e lavoro a Milano.
Si avvicina alla pratica artistica come autodidatta focalizzando l’attenzione soprattutto su artisti la cui ricerca trova applicazioni nell’ambito sociale e politico.
Mostre recenti: “I was a football player” Assab one, Milano (personale)
“L’urlo e il furore” Nowhere-gallery, Milano ( collettiva)


Fabrizio Perghem

La sua poetica si sviluppa partendo dall´estetica del vuoto, avvicinandosi sempre di più alle attitudini dell´Arte Povera e dei movimenti Postminimalisti. Usa preferibilmente materiali di scarto ed effimeri, scandagliandone le possibili qualità energetiche intrinseche. Esaltando il carattere empirico della scoperta, tenta, attraverso il tempo e lo spazio, di creare installazioni in-situ utilizzando gli archetipi del gesto. Usando la strategia della precarietà cerca di non ridurre il suo lavoro ad una forma finita, un oggetto privo di vita, ma in costante trasformazione, capace di contenere in sé il proprio superamento. Centrale è il tentativo di inserire il fattore dell´esperienza nella percezione del lavoro, in modo tale che lo spettatore possa ricostruirne il processo, puntando sul fatto che l´instabilità di qualsiasi atto di conoscenza alimenta il ruolo cognitivo dell´arte.

Giuliana Racco

Giuliana Racco è nata a Toronto, Canada, nel 1976. Attualmente vive e lavora tra Bologna e Venezia. Qui si è specializzata presso la facoltà di Design e Arti dello IUAV ed ha ottenuto l’assegnazione di uno studio dalla Fondazione Bevilacqua La Masa. Ha esposto in numerosi spazi e contesti internazionali. Il suo libro Survival English è pubblicato da Marguerite Waknine Editions (Angoulême, 2008). La sua pratica coinvolge una varietà di processi e di media, spesso implicando una riflessione a proposito di concetti quali tattiche di sopravvivenza, linguaggio e comportamenti.

Fabrizio Sartori

Fabrizio Sartori nasce a Roma dove studia architettura e pittura. A Madrid nel 2006 segue un corso di regia, lavora come educatore per l’infanzia ed inizia la collaborazione con alcune gallerie spagnole ed italiane. Da due anni vive a Venezia dove studia Arti Visive allo IUAV, ed è in procinto di laurearsi. Ha partecipato a diverse mostre e festival tra cui Quotidiana 09 a Padova ed il Festival della Bassa Risoluzione da poco conclusosi a Bari.

Videotrope + Marco Ceccotto
"Noi non esistiamo, tuttavia è possibile trovare delle prove sulle apparizioni di Videtrope presso www.videotrope.tv"
Marco Ceccotto
Vive e studia a Trieste. La sua ricerca sul suono si sviluppa in parallelo agli studi in ambito filosofico ed è attualmente orientata, da una parte, all’esplorazione di paesaggi sonori e dei rapporti tra azione, percezione e ambiente in sistemi complessi, e dall’altra, alla creazione di strumenti
elettronici autocostruiti e all’utilizzo di FLOSS (Free/Libre/Open
Source Software).

THE EMBASSY OF PIRACY – PADIGLIONE INTERNET – THE RAMALLAH SYNDROME



THE EMBASSY OF PIRACY – PADIGLIONE INTERNET – THE RAMALLAH SYNDROME


Opening and press conference, June 3, at 12am

Performances:
AIDS-3D, “Network of Love”, June 3, at 2.30pm

Final Pirate Party:
“Ramallah Syndrome Sound Performance”, June 6, at 9pm
Party, at 10pm
Events program in progress on:
www.sale-docks.org
www.padiglioneinternet.com
embassyofpiracy.org/
www.palestinecoveniceb09.org


THE EMBASSY OF PIRACY

Premessa
Il momento è epico, l’ecosistema d internet è messo alla prova e noi siamo chiamati a difenderlo. Vecchi regimi approvano nuove leggi e nuovi regolamenti per sostenere sistemi fallimentari che nessuno vuole davvero.
Internet, oggi, non è solamente una realtà virtuale, ma un network che può materializzarsi in forme diverse: nei tribunali, nei parlamenti, nelle reti telefoniche, ma anche nei memi, nella musica e nell’arte. Internet è una metodologia, non è un luogo.
L’idea della Embassy of Piracy ha preso forma quando The Pirate Bay è stata invitata alla Biennale di Venezia nel contesto dell’Internet Pavilion. Come ambasciata, il nostro compito è quello di rappresentare la libertà di Internet, dei suoi pirati e di promuovere lo stile di vita Kopimi.

L’ambasciata
L’ambasciata assume la forma moltiplicabile e modificabile della piramide. Attraverso il download del modello in carta, presente sul nostro sito, puoi materializzare l’ambasciata ovunque: negli spazi pubblici, nella foresta, al lavoro, a scuola, sul tuo tavolo da pranzo…
Ricordati, quando fondi un’ambasciata, sei legale all’interno del territorio di internet. Insieme moltiplicheremo le ambasciate in tutto il mondo. Condividi le tue foto dell’ambasciata su http://embassyofpiracy.org.
Tutti siamo l’Ambasciata e tutti siamo ambasciatori della libertà di internet nel mondo. Sta a noi diffondere, modificare e condividere questa avventura.
http://embassyofpiracy.org/

PADIGLIONE INTERNET

Alla cinquantatreesima biennale Biennale di Venezia sarà presentato un nuovo padiglione, il Padiglione Internet. Visto il tema della mostra di quest’anno, “Fare mondi”, è logico che l’internet venga rappresentato, per la prima volta, con un proprio padiglione.
Internet è una nuova parte del nostro mondo, mai rappresentata a Venezia, è un territorio differente rispetto ai padiglioni esistenti.
Internet non è definito da confini, nazionalità o da una lingua specifica. Internet è ancora nuova e si sviluppa ad una velocità tale che la sua legislazione, come il suo impatto sulle nostre vite, è in costante ridefinizione. Internet sta trasformando le nostre vite e i nostri sensi; sta trasformando il modo in cui ci comportiamo, comunichiamo, condividiamo informazioni e sviluppiamo idee. Siccome spesso si dice che l’arte faccia esattamente queste cose, c’è un interesse particolare nel presentare il Padiglione Internet alla Biennale.

Il padiglione è composto da due siti internet:
- www.PadiglioneInternet.com, ospita una collaborazione tra Miltos Manetas e Rafael Rozendaal. Aprirà il 3 giugno è come le sedi fisiche della Biennale, chiuderà i battenti a Novembre.
- www.Biennale.net, è il sito in cui si rende pubblica la discussione e la storia del progetto e, al tempo stesso, è l’ingresso per alcune mostre collaterali: tra queste: 
- "New Wave", an online show with a physical component featuring Petra Cortright (US), Harm Van den Dorpel (HO), Sinem Erkas (UK), Elna Frederick (US), Martijn Hendriks (NE), Parker Ito (US), Oliver Laric (AU), Guthrie Lonergan (US) and Pascual Sisto (US).
- The WikepediaArt Embassy costruita da Scott Kildall(US) and Nathaniel Stern (US). 
-Una mostra on line di artisti cinesi attivi in Internet. 
- AIDS-3D (US) con: "Network of Love" una performance che si terrà, anche fisicamente, al S.a.L.E, durante i giorni dell’opening. Gli inviti per questo evento saranno spediti via Twitter e Facebook.

- L’ultimo video di Aleksandra Domanovic(SE)

Infine, il 3 giugno, a partire dalle 12, al S.a.L.E., Christian Wassmann costruirà PAGES, un’architettura trasportabile, mobile e reticolare che l’architetto ha progettato per il Padiglione Internet.

Il Padiglione Internet è costruito in collaborazione con i musicisti inglesi Gnac (Marc Trammer) e Howie B e con la collaborazione dell’architetto Christian Wassmann. Il Design e i gadgets sono di M/M (Paris), il web design è di Marc Kremers e Thomas Eberwein del Digital Club di Londra. L’artista Greco residente a Londra, Miltos Manetas, è l’ideatore del progetto.
A cura di Jan Aman.
Prodotto dall’Art Production Fund.

http://padiglioneinternet.com

RAMALLAH SYNDROME PERFORMANCE

Sound System di Basel Abbas (aswatt) Ruanne Abourahme.
La performance è parte del progetto Ramallah Syndrome* presentato a Palestine c/o Venice da Sandi Hilal and Alessandro Petti in conversazione con Nasser Abourahme, Yazeed Anani, Laura Ribeiro, Reem Fadda, Omar Jabary-Salamanca e Yazan Khalili.


Palestine c/o Venice, Ex Convento Cosma e Damiano, Giudecca, Vaporetto fermata Palanca.
Opening reception: 6 Giugno, 5.00 pm.


*Il progetto esamina gli “effetti collaterali” del nuovo ordine spaziale e sociale emerso in Palestina dopo il collasso del “Processo di Pace di Oslo” e che si manifesta in una sorta di “allucinazione di normalità”, l’illusione di far coesistere libertà e occupazione. La serie di conversazioni è una critica associata alle forme di resistenza e soggiogazione alla condizione neocoloniale.

Ramallah Syndrome Sound-System inizia con una raccolta di materiali che confluiscono, rielaborati, in un’installazione sonora presentata al padiglione palestinese Palestine c/o Venice. La performance in programma al S.a.L.E. non è una replica, ma un ri-esame dell’opera. Un momento in cui riprendere parti dell’opera originale in un’esplorazione dinamica, in una sperimentazione di materiali trovati e d’archivio, registrazioni ambientali e musica elettronica.


http://ramallahsyndrome.blogspot.com/
www. Palestinecoveniceb09.org
www.decolonizing.ps
www.statelessnation.org

English version--------------------------------

THE EMBASSY OF PIRACY

Background
Time is epic, the ecosystem of the Internet is tested and we are here to defend it. Old regimes are passing new laws and new regulations to uphold a failing system that nobody really wants.
An internet today is not some virtual entity, but a network that can materialize in everything from court systems, parliaments and phone networks to memes, music and art systems. Internet is a methodology, not a place.
The idea of an Embassy of Piracy came up when Piratbyrån and The Pirate Bay got invited to contribute to first Internet Pavilion that will be part of this years Venice Biennial. As an Embassy our task is to represent the freedom of Internet and pirates of Internet and to promote the Kopimi way of life.

The Embassy
The Embassy has multipliable and modifiable form in shape of a pyramid. By downloading and printing out the foldable paper model you can make the Embassy materialize anywhere; in public spaces, in the forest, at work, school or on your dinner table or for your pets.
Remember, when you form an Embassy, you are legally within internet territory. Together we will multiply a growing number of Embassies all over the world. Share your photos of The Embassy on the http://embassyofpiracy.org
We are all the Embassy, we are all Ambassadors of the freedom of Internet. This adventure is ours to swarm, modify and share.
http://embassyofpiracy.org/

THE INTERNET PAVILION
At the 53rd Venice Biennial (opening to the public on 7th June), a completely new pavilion will be presented - the Internet Pavilion. With the theme for this year’s biennial, “Making Worlds”, it is only logical that the Internet is represented, for the first time, by a pavilion of its own.

The Internet is a new part of our world that has never been represented in Venice. It is a different territory from the existing pavilions. The Internet is not defined by physical or geographical borders, nationalities, or a specific language. The Internet is still new and is being developed with such speed that its legislation, as well as its impact on our lives, is under constant redefinition. The Internet is transforming our lives and senses; it is transforming the way we behave, communicate, share information and develop ideas.
As this is what we often say art does, it is of special interest to present the Internet Pavilion at the Venice Biennial.

The pavilion is composed by two websites: 
- www.PadiglioneInternet.com, hosts a collaboration by Miltos Manetas and Rafael Rozendaal. It will open on June 03 and similar to the physical buildings of the Exhibition, it will close down in November. 
- www.Biennale.net, holds the discussion and the history of the project and at the same time it is the "entrance" for a number of collateral exhibitions and projects. Among them: 
- "New Wave", an online show with a physical component featuring Petra Cortright (US), Harm Van den Dorpel (HO), Sinem Erkas (UK), Elna Frederick (US), Martijn Hendriks (NE), Parker Ito (US), Oliver Laric (AU), Guthrie Lonergan (US) and Pascual Sisto (US). 
- The WikepediaArt Embassy hosted by Scott Kildall(US) and Nathaniel Stern (US). 
- An online show with Chinese Internet artists. 
- AIDS-3D (US) will be holding a special "Network of Love" performance during the opening days. Invitations for this event will be send via Twitter and Facebook. 

- The latest video by Aleksandra Domanovic(SE)

Finally, on June 03, Christian Wassmann, will build "PAGES", the perfectly mobile (he brought it with him in the plane from NYC), absolutely habitable and amazingly "web" architecture he designed for the Internet Pavilion. A video that explains Mr. Wassmann mental process can be found here. 

The Internet Pavilion is built in collaboration with British composers, Gnac (Mark Tranmer) and Howie B and the Swiss/NY based architect Christian Wassmann. Design and propaganda objects are by M/M (Paris) and Web Design is by Marc Kremers and Thomas Eberwein of Digital Club, London. The Internet Pavilion is a project initiated by the Greek born, London based artist Miltos Manetas, curated by Jan Aman and produced by Art Production Fund.

http://padiglioneinternet.com

RAMALLAH SYNDROME PERFORMANCE

Sound System and visuals by Basel Abbas (aswatt) and Ruanne Abourahme.
The performance is part of the Ramallah Syndrome project* presented at Palestine c/o Venice by Sandi Hilal and Alessandro Petti in conversation with Nasser Abourahme, Yazeed Anani, Laura Ribeiro, Reem Fadda, Omar Jabary-Salamanca, Yazan Khalili.

Palestine c/o Venice Ex Convento Cosma e Damiano, Giudecca, Vaporetto Stop Palanca.
Opening reception: June 6 at 5.00 pm.

*The project examines the side effects of the new spatial and social order emerged in Palestine after the collapse of the “Oslo Peace Process” and manifested in a kind of ‘hallucination of normality’, the illusion of a co-existence of freedom and occupation. The series of conversations is a critique and potentiality associated with forms of resistance and subjugation to the neocolonial condition.

The Ramallah Syndrome Sound System is a re-examination of the material, picking up threads from the sound installation in a dynamic exploration and experimentation of ‘found’ footage, archive sample, audio-video location recordings, and heavy electronic music. This material is critically re-interpreted and imbued with new meaning through juxtaposition and multiple audio-video layering, allowing a narrative to emerge and for the audience to experience another level of the project. By ‘mashing-up’ and reconstructing what seem like disparate bits of film and audio emerges the possibility of critically and playfully illuminating the ruptured commonalities and connections between people and places in Palestine.

http://ramallahsyndrome.blogspot.com/
www. Palestinecoveniceb09.org
www.decolonizing.ps
www.statelessnation.org

Arte della sovversione



Arte della sovversione
A cura di Marco Baravalle
(Edizioni: Manifesto libri)

lunedì 6 aprile 2009

LA STORIA RIMOSSA DELL’ANOMALIA AUTONOMA VENETA

Presentazione del libro:

PROCESSO SETTE APRILE. Padova trent’anni dopo, voci della “città degna”


MERCOLEDI’ 8 APRILE 2009, ore 17.30

S.a.L.E. Docks – Magazzini del Sale – Zattere – VENEZIA


LUCA CASARINI (uno dei curatori)

e

ANTONIO NEGRI (uno degli autori)


ne discutono con:

MARCO BORGHI

(direttore, Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea)

e

LUCA PES
(docente, Venice International University)




Il libro è una presa di parola collettiva dei tanti protagonisti di quella enorme e complessa operazione politico-giudiziaria contro i movimenti, che è passata alla storia come "processo sette aprile", dal giorno del 1979 nel quale scattarono a Padova e a Roma i primi arresti di docenti universitari, attivisti dell’Autonomia, studenti, sindacalisti, accusati di essere i vertici del terrorismo. Attraverso queste ed altre voci viene rievocato quel clima, caratterizzato dall’urgenza dello Stato e del Partito Comunista di cancellare il conflitto sociale che interessava da un decennio il nostro paese e che metteva in seria difficoltà il sistema dei partiti. Il “teorema Calogero”, dal nome del pubblico ministero della Procura padovana che condusse l’inchiesta, alla fine crollò come un castello di carte. Ma il carcere, la criminalizzazione delle realtà di movimento, dalle assemblee ai giornali, dai collettivi alle radio, aprirono una nuova stagione della Repubblica, impostata sulla vendetta giudiziaria come mezzo di risoluzione dello scontro sociale e politico. A distanza di trent’anni quelle voci che furono incarcerate riprendono a parlare.

domenica 8 marzo 2009

SPERIMENTAZIONI DESIDERANTI

Sedici video e un progetto di Gianfranco Baruchello

SPERIMENTAZIONI DESIDERANTI

’60 e ’70. Due decenni nel futuro

Opening giovedì 12 marzo alle 19

12 marzo - 18 aprile


Sperimentazioni desideranti è una rassegna di film e video di Gianfranco Baruchello che copre un lasso di tempo dal 1968 al 2008. A fianco dei video è presentata una documentazione del progetto Agricola Cornelia S.p.A. (1973-’81)

La mostra intende concentrarsi su una parte della produzione di Gianfranco Baruchello che, tra la fine degli anni Sessanta e per tutti gli anni Settanta, rispecchia e interpreta, in modo assolutamente originale, alcune delle istanze che furono proprie dei movimenti sociali che caratterizzarono quel periodo.

Il dato anticipatorio e sperimentale proprio di questi movimenti si interseca con il lavoro di Baruchello, grande innovatore di linguaggi, dando vita a pratiche artistiche “rivoluzionarie” che seppero però prescindere e superare sia la rappresentazione della politica che il discorso sulle politiche della rappresentazione.


Eventi :
2 Aprile--> Incontro con Gianfranco Baruchello.


8 Aprile--> Presentazione del libro “Processo sette aprile. Padova trent’anni dopo. Voci della città degna.”


16 Aprile--> Angelo Maj in concerto

Orario di apertura: dal mercoledì alla domenica, dalle 15 alle 20
Ingresso libero
Con il patrocinio del Comune di Venezia e del Piano Locale Giovani
A cura di Marco Baravalle


SPERIMENTAZIONI DESIDERANTI

di Marco Baravalle


E’ difficile trovare un titolo per Gianfranco Baruchello. Lo è perché la sua opera, ormai pluri-decennale, è priva di un centro, di una vicenda consequenziale e progressiva. Al contrario, appena ti sembra di aver colto il punto, lei scarta di lato, procede per fughe, strappi, accelerazioni, brusche frenate. La sensazione, messi di fronte alla necessità di nominare il lavoro di Baruchello, è quella di dover definire un panorama troppo vasto. Cosa c’è oltre l’orizzonte? 
Inoltre è un problema di scala. Da giorni ho l’impressione di essere troppo vicino o troppo lontano da Baruchello. La visione di insieme sacrifica le specificità, le specificità sacrificano qualcosa di un più di una panoramica generale. Ma cos’è questo qualcosa in più? Esattamente l’essere non nominabile dell’opera di Baruchello, carattere che travalica il suo compiuto eclettismo e che discende dall’adozione del pensiero del molteplice. 
Scrivere a proposito di questo artista, significa scrivere il nome molteplice, ma esso, nella sua dimensione testuale, nel supporto materiale (cartaceo o digitale), nella gabbia del significante, è come una cisterna che non regge più il peso del liquido interno, che preme per uscire, che fa saltare i bulloni, che inevitabilmente tracima.
Essa rifiuta la sintesi, rifiuta l’uno, rifiuta la definizione.
Perciò il dispositivo critico è in crisi. Perciò Carla Subrizi, in un saggio magistrale sul cinema di Baruchello, insiste sulla necessità di una contestualizzazione storica, piuttosto che sull’esame iconologico del complesso universo filmico dell’artista. 
In un passo particolarmente significativo, la studiosa sostiene che la riflessione sul medium, nel cinema di Baruchello, non possa esaurirsi in quanto semplice recupero di una pratica modernista e afferma: “alcune opere si sono poste dunque non all’interno di un storia del mezzo usato, ma al di fuori di essa, come ipotesi di un diverso modo di costituzione del linguaggio”.
E’in questo ambito post-mediale, in questo fuori, cioè dentro ad un esodo dalla disciplina istituzionale che può essere letta la vicenda storica dell’opera di Baruchello, in questa scelta decostruttiva dei linguaggi dominanti che è contemporanea costruzione di linguaggi altri. 
E’nell’essere estremamente privato e radicalmente politico, nell’attenzione verso il quotidiano, nella comprensione del lavoro artistico come creazione di nuove forme di vita che Baruchello diventa un interprete intelligente di alcune delle istanze più radicali che hanno caratterizzato i movimenti dei tardi anni Sessanta e di quasi tutti gli anni Settanta.
Gli anni delle lotte autonome e del rifiuto del lavoro di fabbrica, delle occupazioni e del femminismo. Gli anni della scoperta del valore politico delle forme di vita. Gli anni della sperimentazione, gli anni che (oltre la tragicità del terrorismo e della strategia della tensione) hanno restituito al desiderio la sua dimensione politica, sociale ed economica.
Questo è, senza alcun dubbio, Baruchello: uno sperimentatore desiderante, un ingegnere (o un agricoltore) del rizoma. Un artista poliedrico e pioniere (come nel caso del precoce utilizzo del video) che ha sempre evitato l’estetizzazione della politica ed ha trasceso l’ambito della politica della rappresentazione.
Baruchello è l’artista dei “mille piani”, è l’artista che libera il potenziale sovversivo del desiderio, il quale, una volta rassicurato della capacità del raggiungimento del proprio oggetto, si fa film, si fa pittura, happening, operazione concettuale, fotografia, processo, creando topografie di immagini, di testo, di linee, di movimento, di suoni, di ritmi e di tempi.
Baruchello, parafrasando il titolo di un famoso romanzo degli anni Settanta è l’artista che “vuole tutto”, essendo il desiderio la materia che intesse la trama del molteplice. 
Non è un caso, del resto, che il riconoscimento istituzionale a questo artista (pur apprezzato da personalità del calibro di Marcel Duchamp e John Cage) stia tardivamente giungendo solo in questi ultimi anni. 
Come non è un caso che l’operazione Agricola Cornelia S.p.a. (1973-1981), un processo artistico legato alla creazione e alla gestione di una vera e propria azienda agricola, tragga spunto, mascherato da ingenuo “ritorno alla terra”, dalla diffusione del rifiuto del lavoro come forma di lotta operaia.
“ L’agricoltura come arte magica riservata ad un sempre minor numero di individui che resistono alla seduzione del lavoro di fabbrica?” si chiede Baruchello nel’introduzione a “Agricola Cornelia S.p.a. 1973-‘81”, libro stampato in occasione di una mostra nel 1981 e elemento organico, sotto ogni aspetto, al complesso progetto artistico.
Di questa opera, di cui al S.a.L.E sarà presentata solo qualche documentazione (un frammento sotto forma di una serie di fotografie) deve essere ancora costruito il display definitivo. 
Del lungo racconto di Agricola Cornelia S.p.a. che è stato descritto nel libro How to imagine, pubblicato nella sua versione americana (ancora inedito in Italia), Sperimentazioni desideranti vuole affermare che “intanto se ne può parlare, far vedere qualche oggetto”. Agricola Cornelia è difficilmente riassumibile, se non nella sua logica di dispositivo rizomatico, di macchina tesa alla concatenazione dei differenti aspetti della vita dell’artista. Il tentativo di Baruchello è stato quello di creare una continua sintesi disgiuntiva tra il proprio lavoro di artista e quello di agricoltore in cui potessero co-implicarsi (senza uniformarsi) la pittura e il parto di un vitello, l’apicoltura e l’arte concettuale, il lavoro agricolo e il ready made.
Agricola Cornelia si può descrivere solo come un filo conduttore (durato sette anni) di una produzione eterogenea in cui la posta in palio è proprio il tentativo della riarticolazione dell’eterogeneo nel molteplice, oltre alla ricerca di nessi tra valore d’uso e valore di scambio, delle produzioni dell’artista e dell’agricoltore. 
Dentro a quest’opera è possibile isolare una serie sorprendente di temi di interesse artistico. Il tema dell’abbietto, ad esempio, rintracciabile nella fascinazione di Baruchello rispetto alla terra che si trasforma in fango-brodo primordiale, oppure il tema dell’agricoltura come attività regolata dal caso (dalla meteorologia, dai capricci della natura), dunque il lavoro agricolo come anti-lavoro, al pari della casualità dadaista come anti-arte. Infine, il tema dell’interdisciplinarietà, del limite, rintracciabile nella descrizione dell’agricoltore come “fabbro-elettricista-falegname-idraulico-muratore”.
Insomma, Agricola Cornelia è preziosa poiché, come afferma l’artista stesso, “è un calco imperfetto del lavoro di Baruchello dal 1973 all’81”. E’ il tentativo, naturalmente a-sistematico, di comunicare la dimensione del rizoma, quella dimensione che è la cifra della sua inafferrabilità e, in fondo, di un desiderio.

lunedì 2 febbraio 2009

OPEN#1 Dal 5 al 28 febbraio

S.a.L.E.-Docks

Giovedì 5 febbraio dalle 18
Inaugurazione + No Seduction Dj set

S.a.L.E.-Docks inaugura Open#1.
Trentasette artisti, selezionati sulla base di un bando aperto, propongono un percorso tra fotografia, pittura, installazione e video.
Open approda alla sua seconda edizione con l'intenzione di mettere a disposizione di un gruppo di artisti emergenti i Magazzini del Sale, dunque offrendo uno spazio di visibilità all'interno di una città ricca di fermento, ma spesso poco fiduciosa nella possibilità di puntare sulle proprie potenzialità creative.
Se, da un lato, Open#1 ricalca il classico schema delle mostre costruite attorno ad un bando, dall'altro, si differenzia per le modalità della selezione.
Infatti, questa non è stata appannaggio esclusivo di uno o più esperti.
La parte della giuria, in questo caso, è stata assunta dall'interezza del gruppo di gestione del sale.
Un gruppo aperto, in cui la competenza si costruisce orizzontalmente a partire dall'articolazione delle competenze di ognuno, in un'ottica di un'implementazione potenzialmente infinita.
Dunque, la volontà di proporre uno spazio aperto alla fruibilità di un gruppo di artisti, si accompagna ad una metodologia di produzione (di eventi e di discorso) che vede le energie creative di Venezia (studenti, artisti, ricercatori, grafici, operatori museali, lavoratori del settore della cultura) protagoniste in prima persona della creazione di ciò che le riguarda, della sua messa in mostra e della riflessione intorno al nodo di ciò che significa produrre cultura all'interno di un determinato contesto.
Si tratta di problematiche complesse rispetto a cui il S.aL.E. Si pone come arena permanente di confronto. Open#1, dal canto suo, è un'importante conseguenza di questo modo di porsi e, allo stesso tempo, un nuovo punto di partenza per altre riflessioni possibili.

Web: saledocks.blogspot.com (nuovo sito in costruzione)
mail: saledocks@gmail.com


ARTISTI

Enzo Comin

Matteo Quinto

Alberto Scodro

Claudia Rossini

Lorenzo Bianchini

Aleksander Veliscek

Andrea Fabbro

Paola Pasquaretta

Marianna Marchioro

Ugo Carmeni

Gianluca Ferrari

Kilroy

Charles Heranval

Miriam Ferrari

Viola Braunizer e Bernard Blanc

Martina Coral

Claudia Vatteroni

Luca Pagani

Osvaldo Cibils

Giordano Rizzardi

Marco Strappato

Irma Vecchio

Aleph Tonetto

Nervo&Tes Gennaro Rino Becchimanzi e Paola Setti

Mentore Veneziani

Alberto Magrin

Giulio Jugovach

Francesco Zorzella

Giulio Zanet

Tanina Cuccia

Maurizio Di Zio

Francesco Burlando

Chiara Merlo

Linda Carrara

Marzia Gallinaro

Marcello Tedesco

Marianna Anoardi

OPEN#1

Guilty At The Dock


"Guilty At The Dock".
Ovvero, i colpevoli sul banco degli imputati.
Di cosa?
La provocazione sta tutta qui, i graffiti, il writing vivono sotto la continua minaccia di una repressione sempre più incalzante ed esplicita; ormai all' ordine del giorno sono gli arresti e le perquisizioni, i processi.
Nello specifico della nostra città, Venezia durante lo scorso anno sono state compiute perquisizioni nelle case di writers locali ed aperta un indagine della quale non sono ancora resi noti i capi d’ accusa.
Questa direzione politica verso la tolleranza zero, questo continuo inasprimento delle retoriche di sicurezza è, secondo noi, il reale danno alla cultura ed è da combattere: dietro una propaganda ignorante si cerca di creare la legittimità per ampliare i meccanismi di controllo sociale.
Utilizzando lo spauracchio del criminale, quindi del writer, dell’ ultras o dell’immigrato clandestino si accetta di vivere osservati continuamente da occhi digitali di telecamere puntate su luoghi pubblici, angoli di città dove tutto è raccolto, tutto è registrato, dove la spontaneità talvolta è punita.
"Guilty At The Dock" si presenta come il secondo capitolo di un progetto di mostre dedicate al writing da parte del S.A.L.E.
"Guilty At The Dock" intende indagare a fondo ed esporre quale sia la reale natura di questa forma d’arte, di cui un carattere essenziale è l’espressione spontanea sui supporti che offre la città, quindi si manifesta nell' illegalità.
Da questa spontaneità si creano quegli elementi che fanno dell’ writing, e dell’arte di strada in generale, una reale forma di attivismo sociale e forse artistico: dipingere le superfici dei treni o dei muri anonimi di città e periferie è un chiaro tentativo di evasione dall’alienazione che caratterizza la modernità, di ribellione rispetto all’omologazione dei segni e delle espressioni.
Si tratta di un "arte" povera che lotta per rimanere tale, che ruota intorno alla creatività spontanea, trasforma di fatto l’alienazione in riflessione e rompe l’orizzonte di segni e linguaggi standardizzati e ripetuti.

S.A.L.E. Docks (www.sale-docks.org)
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Urban-Code (www.urban-code.it)

URBAN SKIN

Saggio di dermatologia urbana. Progetto installativo di Ogino Knauss
Venezia 11.9 /3.10
SALE – Magazzini del sale
Dal Mercoledì alla domenica dalle 15 alle 20

Opening
: giovedì 11 settembre alle 19

Sulla pelle della città
. Una maniera superficiale di guardare alla complessità urbana, non in senso riduttivo, ma propriamente fenomenologico: la pelle come successione di superfici sgnificanti, come elemento sensibile, come membrana filtrante. Una grammatica della separazione, un sistema di censura, una statificazione di segni. Percorrere, leggere, tastare, annusare, scorticare, incidere, stimolare la pelle della città. Un approccio epidermico all'ambiente urbano: l'approccio che ogino:knauss ha adottato per affrontare il paesaggio globale in trasformazione, impiegando una attenzione superficiale e divagante ai microfenomeni che costellano gli interstizi e le periferie dell'organismo urbano. La superficie sensibile della città viene indagata come indice di tensioni sotterranee, sintomo di profonde trasformazioni che avvengono al suo interno. L'attenzione va al dettaglio trascurato, ai segni dissonanti, alle crepe e alle screpolature del tessuto, al desueto, all'opaco, al rimosso, al transitorio. Tracce di sparizioni e di sopraffazioni, di irritazione e di rivolta, di straniamento e alterità. Un corpo a corpo istintivo, messianico, teso all'ascolto, alla risonanza, all'analisi del ritmo; a catturare la pulsazione ed il respiro della città.

Urban skin
è un processo di indagine compiuto attraverso esplorazioni puntigliose e programmatica flanerie, catturando segni e tracce, e riporpopnendole in forma molteplice, in continua evoluzione e ridefinizione. La città viene accarezzata, suonata e remixata. Ricognizioni fotografiche e regisrazioni ambientali sono il punto di partenza di un processo che utilizza la modalità live come verifica istintiva e stimolo improvvisativo per reinterpretare le impressioni catturate. Dopo le tappe performative di Brussels, Berlino e Trento, il progetto approda al SALE di Venezia per sedimentarsi come istallazione fotografica e audiovisiva. Essa è integrata, come è pratica abituale di oginoknauss, da un intervento locale, attraverso una deriva aperta al pubblico, che cercherà di integrare l'esplorazione sin qui condotta con una riflessione contestuale alle istanze di Venezia, confrontandosi con temi ruvidi e grumosi come la la crisi dell'abitare, la riconversione all'economia culturale, lo snaturamento dello spazio pubblico.

Ogino Knauss
, collettivo attivo dal 1995, opera nel corso degli anni una deriva costante tra i linguaggi e le pratiche della comunicazione. Nato come laboratorio di cinema mutante in uno spazio autogestito di Firenze, ha oggi la sua sede operativa a Berlino. In tempi più recenti l'attenzione del gruppo si concentra sugli influssi della globalizzazione sul paesaggio urbano, sviluppando pratiche innovative di ascolto e descrizione dei processi culturali della città, e sull'esplorazione di di reti innovative, spazi eterotopici e alternative alle forme dominanti di produzione. Tra progetti più recenti del gruppo, Triplicity è una riflessione multiforme e multipiattaforma sulla relazione intrecciata tra produzione di immagine e produzione spaziale nel contemporaneo, ed è pubblicata in un DVD interattivo da AVrec; Doble Forza, è un documentario su un sobborgo alla periferia de La Habana costruito negli anni settanta; un lavoro che costituisce il pilota per il progetto Re:centering Periphery, serie di reportages sulla produzione di periferie, sull'ideologia modernista che ha derterminato l'ambiente fisico in cui una enorme parte della popolazione globale vive tuttora, e sulle pratiche quotidiane che abitano, trasformano e rinventano tale ambiente.

www.oginoknauss.org info@oginoknauss.org

Un progetto di ogi:noknauss
Concezione e sviluppo Lorenzo Tripodi, Manuela Conti
Fotografia e editing: Manuela Conti,
Produzione Sonora: Michele Lancuba
Siluppo applicazioni, trattamento immagine: Sergio Segoloni

Evento Prodotto da SALE-Signs and Lyrics Emporium, Venezia

Multiversity - L’arte della sovversione

16-17-18 maggio2008

L’evento “Multiversity, ovvero l’arte della sovversione” nasce da un lavoro congiunto di Uni.Nomade e S.a.L.E. (Signs and Lyrics Emporium), tra una rete transterritoriale di militanti e ricercatori impegnati nell’analisi critica dei temi della contemporaneità e uno spazio autogestito, S.a.L.E. docks, nato alcuni mesi fa a Venezia con lo scopo di intervenire praticamente sul terreno della produzione culturale. Terreno che, non solo a Venezia, si è ormai affermato quale ambito privilegiato per gli attuali processi di valorizzazione del capitale.

Se infatti ci si concentra sull’arte contemporanea, tale indiscutibile importanza è riscontrabile su almeno tre livelli.
Il primo è quello del ruolo centrale che beni immateriali e saperi, creatività e affetti, attitudini relazionali e comunicative vengono ad assumere per le forme contemporanee del modo di produrre: la produzione artistica non può sfuggire a questa centralità.
Il secondo è quello del rapporto tra produzione culturale e metropoli, dove l’intreccio tra urbanistica e architettura, moda e design, arte e letteratura, in quello spazio produttivo sociale per eccellenza che sono i bacini urbani, diviene da un lato elemento cruciale nei processi di soggettivazione attraverso i quali si costituisce la molteplicità di forme di vita che li abitano, dall’altro fattore decisivo per definire il posizionamento strategico di ciascuna area metropolitana nella competizione economica tra città globali.
Il terzo è quello del rapporto tra mercato dell’arte e capitale finanziario: a livello globale, banche e multinazionali sono tra i principali investitori in un settore che appare oggi come l’unico a non essere neppure sfiorato dalla crisi che investe il sistema mondiale della circolazione di denaro.

Ciò che vediamo all’opera è un complesso apparato di cattura, che il capitale ha messo in campo nei confronti dei flussi plurali di produzione culturale informale, a partire dall’appropriazione della capacità cooperante di singole intelligenze e singoli modi di vita, per assicurarsi la messa a valore di quello che è stato definito il “capitale simbolico collettivo”. La complessità di queste dinamiche dipende da un duplice meccanismo di sfruttamento, il cui primo aspetto è costituito dalle gabbie della proprietà intellettuale e da ogni ulteriore momento di privata appropriazione del sapere sociale generale, mentre il secondo è quello del rapporto parassitario che viene a stabilirsi nei confronti della produzione creativa da parte di quegli interventi speculativi, che si determinano nel corpo della metropoli là dove si costruiscono istituzioni statali e private, grandi eventi e fiere legati all’arte, distretti e meta-distretti culturali.

Ciò in cui l’esperienza del S.a.L.E. vuole immergersi criticamente, ciò che l’evento Multiversity ha deciso di affrontare problematicamente, si chiama “fabbrica della cultura”, ovvero il luogo della valorizzazione del capitalismo cognitivo, ma che tale è solo nella misura in cui è, prima di ogni altra cosa, il luogo della potenza della soggettività creativa, dell’espressione delle moltitudini, e, di conseguenza, lo spazio di un quotidiano corpo a corpo tra libertà della creazione e autonomia della cooperazione, da un lato, e dispositivi del dominio e dello sfruttamento di questa potenza produttiva, dall’altro. E’ alla luce di ciò che, all’interno di Multiversity, verranno presentati, discussi e confrontati con le più avanzate esperienze europee e globali i primi risultati, seppur parziali, di un’inchiesta sul precariato cittadino legato all’arte contemporanea e al lavoro immateriale. Qui, la questione principale è quella della comprensione dei comportamenti diffusi e delle modalità d’intervento che possono trasformare una composizione sociale, già centrale nelle forme di produzione contemporanee, in una composizione politica. Verrà inoltre affrontato il nodo del ruolo che la formazione universitaria, per un verso, e le reti della comunicazione, per un altro, svolgono all’interno della più complessiva organizzazione del lavoro nella “fabbrica della cultura”.

Premessa indispensabile a questa discussione è il confronto intorno all’arte contemporanea intesa come “istituzione sociale allargata”: dalla vicenda storico-artistica che ha spinto l’arte del Dopoguerra dallo spazio trascendentale della specificità mediale allo spazio sociale con i suoi rapporti di forza, alle relazioni che si stabiliscono tra arte, movimenti sociali e attivismo culturale al di fuori di ogni retorica avanguardistica, ai modi della cattura da parte del sistema artistico istituzionale e dei circuiti della finanziarizzazione nei confronti di un vasto patrimonio di pensiero critico e di modi di vita conflittuali. Per queste ragioni, l’evento Multiversity sarà articolato in tre sessioni seminariali:

*1. Arte e attivismo*
Si intendono qui problematizzare la vicenda storica e le forme contemporanee dell’intreccio tra arte e attivismo. Alcune delle domande da cui partire saranno le seguenti. Attraverso quale percorso si è passati da una concezione dell’opera come trascendenza ad una concezione della stessa come oggetto, processo o dinamica in grado di intervenire all’interno dello spazio-tempo dell’uomo e, successivamente, all’interno dei processi sociali? Come si è passati da un criterio di giudizio dell’opera basato su di una topografia delle sue caratteristiche materiali ad uno fondato, invece, sull’analisi della sua funzione, ovvero della sua efficacia in termini sociali? Come funziona oggi, in epoca postfordista, l’arte attivista? Qual’è, una volta abbandonata ogni retorica avanguardista, la posizione dell’arte e degli artisti rispetto ai movimenti?

*2. Arte e mercato: tra libertà creativa e cattura finanziaria*
Questo secondo punto deve necessariamente muovere da una raccolta di dati sulle dimensioni del mercato dell’arte e dal suo rapporto con il capitale finanziario. L’arte viene qui assunta come esempio di valore paradigmatico a causa di un paradosso estremo che la interessa: se il lavoro artistico esprime un livello massimo di libertà creativa, allo stesso tempo esso subisce la massima fissazione all’interno del capitale finanziario.

*3. Arte e moltitudine: per l’inchiesta su composizione sociale, conflitti e organizzazione del lavoro vivo dentro la “fabbrica della cultura”*
In questa sezione andrà affrontato il nodo dei rapporti tra singolarità e moltitudine, e tra produzione individuale e costruzione del comune. Due sono i piani di ricerca su cui procedere parallelamente. Il primo è storico-artistico e riguarda i tentativi che, a partire dagli anni Sessanta, sono stati sviluppati dagli artisti in risposta alla retorica del genio individuale, fino alle attuali piattaforme di produzione collettiva legate alla affermazione e alla diffusione dell’hacking sociale. Il secondo piano riguarda l’inchiesta rispetto alla composizione sociale del precariato cresciuto attorno all’indotto dell’industria culturale. Dagli studenti nei circuiti della formazione ai precari delle cooperative che si occupano di logistica e allestimento, agli stagisti, ai networkers, ai consulenti a progetto e a partita Iva fino a quel ceto globale di artisti e di figure professionali intenzionate a divenire parte integrante del sistema internazionale dell’arte. Di tutta questa ampia galassia sociale dovremo indagare condizioni materiali di vita e di lavoro, bisogni e aspirazioni, desideri e possibili rivendicazioni. Tutto questo per arrivare al punto chiave: come trasformare questa composizione sociale in una composizione politica?

Audio e abstract del seminario

http://www.globalproject.info/art-16007.htmlt-16007.html

Situazionist Workshop By Za!Revue




Za!Revue, rivista grafica indipendente e aperiodica, organizza con S.A.L.E. Docks
un workshop della durata di una settimana incentrato sulla libera collaborazione collettiva.
L'obiettivo sarà la creazione di un artefatto editoriale.
Ogni persona è invitata a mettere in gioco la propria creatività tramite illustazioni,foto, grafiche, testi, clip e chi più ne ha più ne metta.
Il filo conduttore della settimana sarà la "situazione", intesa come momento e luogo in cui pensieri diversi si troveranno ad operare con lo scopo di produrre un'interpretazione dell'ambiente e dell'istante stesso della creazione.

Za!revue metterà a disposizione tutto il materiale e l'esperienza accumulati nella produzione di quattro numeri e seguirà le diverse fasi progettuali.

Il tutto è finalizzato alla creazione di un libro/poster che sarà l'insieme dei contributi di tutti i partecipanti, che ne riceveranno delle copie stampate in offset.

Il risultato del workshop sarà reso pubblicamente visibile durante la festa finale di giovedì 22 novembre:
Tutte le pagine create da chi avrà preso parte al workshop verranno mostrate sottoforma di proiezioni video mixate al vj set di Za!vsBiologic, che accompagnerà il live dei Bigammadre (dub-rock sperimentale) e il dj set dub-wise di Recipient.cc e Von Bob.
Il primo incontro si terrà giovedì 15 novembre alle ore 18.
Verrano proposte delle linee guida, libere e flessibili, dalle quali partire per la relizzazione del progetto e saranno stabiliti insieme ai partecipanti gli orari più convenienti da fissare.

Il costo di iscrizione è di dieci euro, da versare il primo giorno di workshop.
Ci si puÚ iscrivere direttamente sul posto, ma il numero massimo di iscritti è limitato a trenta persone ed è quindi possibile effettuare la preiscrizione via mail o telefono per riservarsi il diritto di partecipazione.
Per ulteriori informazioni:
www.zarevue.org
http://www.zarevue.org/venice/pmwiki.php
www.sale-docks.org

Trouble makers



Ci sono alcune parole chiave utili a collegare i lavori in mostra: spazio pubblico, movimenti sociali, inchiesta, documentario, lavoro.
E'un diagramma che descrive un “fuori artistico” e rimanda, inevitabilmente, ad una costellazione postmediale che solo un piccolo amo immaginario potrebbe tenere ancorata alla storia dell'arte.. Ma l'amo è immaginario, appunto, superflua la sua funzione d'appiglio. Infatti, il superamento della specificità mediale è un processo avviato a partire dagli anni Sessanta per merito del Minimalismo attraverso la sua caratterizzazione dell'opera come esperienza percettiva, vale a dire calata all'interno dello spazio degli oggetti e dei corpi piuttosto che in quello trascendentale proprio della pittura tardo-modernista. Spazio che per alcuni artisti degli anni Settanta diventa sociale, istituzionale e come tale indagato in tutte le relazioni di potere ed i rapporti di forza che lo attraversano. E' in questa decade che il contenitore diventa contenuto, in quella traslazione che un critico ha definito come l'ultima forma dell' accademismo modernista. La specificità del sito sostituisce la specificità mediale, trasformando lo spazio museale da luogo di storicizzazione a luogo di produzione, spingendo l'arte, secondo un altro punto di vista piuttosto critico, tra le braccia dell'industria culturale. Questo movimento di deterritorializzazione dell'opera che inghiotte la cornice e le peculiarità del medium non è, naturalmente, un processo lineare e progressivo. Dopo l'accelerazione impressa dal ventennio Sessanta-Settanta, si registrano spinte di reazione, correnti che, in particolare negli anni Ottanta, grazie al sostegno del mercato, lavorano per un ritorno alla pittura, alla figurazione, ai media tradizionali. Dunque, nonostante il sospetto d'accademismo e l'odore di industria culturale (critiche che è certamente giusto non sottovalutare) questo movimento di deterritorializzazione dell'opera, questo mutamento ontologico si dà come uno dei fondamentali momenti di rottura con il tardo modernismo di matrice greenbergiana, con il suo anelito alla purezza, all'eliminazione di tutti quegli elementi non immediatamente incolonnabili sulla linea della tradizione artistica e, perciò, percepiti come kitchs. Da questa sommaria genealogia si evince il percorso che ha condotto ad una modificazione sostanziale dei criteri del giudizio artistico; se l'opera eccede la cornice per indagare lo spazio sociale ed istituzionale, allora ciò che importa sarà l'analisi della sua funzione, ovvero del suo effetto sociale. In questo senso l'arte legata ai movimenti sociali può essere vista come una prosecuzione di tale traiettoria di allargamento dei confini dell'opera. Se l'oggetto minimalista aveva in qualche modo incrinato la convinzione nell'autonomia dell'opera d'arte, offrendole invece una linea di fuga verso lo spazio sociale attraverso la sua attenzione alle caratteristiche materiali del contesto espositivo ed alla sua necessità di essere esperito piuttosto che letto, oggi, l'arte legata all'attivismo può permettersi di dare per acquisito questo passaggio, di abbandonare il riferimento diretto allo spazio galleristico per prendere in considerazione le contraddizioni di spazi politici, economici e sociali sia locali che globali. Essa può, ad esempio, rivolgersi alla forma documentario, non tanto per affrontare attraverso di esso l' analisi delle peculiarità tecniche del video digitale, quanto, piuttosto, per sfruttarne le caratteristiche di flessibilità di impiego ed economicità allo scopo di farne un mezzo di inchiesta, uno strumento conoscitivo rispetto al nostro tempo ed ai movimenti sociali contemporanei. La forma documentario, inoltre, potrebbe venire facilmente indicata come uno dei principali strumenti di auto-rappresentazione, elemento vitale per sfuggire alle distorsioni dei media ufficiali, eppure c'è qualcosa di più. In questa mostra, infatti, la quasi totalità degli artisti è formata da attivisti o, perlomeno, da persone che in passato hanno intrapreso un percorso di militanza. Nelle loro mani il documentario perde la sua caratteristica di apparente imparzialità per diventare un vero e proprio atto di partecipazione nella definizione di una soggettività in lotta. Certo non possiamo giungere a conclusioni risapute e scontate, non si tratta qui di far coincidere l'arte con l'attivismo politico, di far sparire la prima nel secondo, di fonderli. Si tratta piuttosto di accettare che l'arte faccia rizoma, ovvero che proceda all'interno di un'infinità di processi di deterritorializzazione e riterritorializzazione, che essa si faccia veicolo di desiderio capace di innestarsi sulla dimensione politica, sociale, economica, per poi tornare a riferirsi alle vicende della storia dell'arte, a citarla, criticarla, legittimarla, in poche parole, a farne parte. Non si tratta della vecchia questione di far coincidere arte e vita, artista e produttore, ma si tratta piuttosto di accettare la loro differenza come elemento non esclusivo, come un ponte utile a collegarli piuttosto che un baratro che li divide. Si tratta, inoltre, di accettare una sfida del nostro tempo, del nostro modello di produzione postfordista basato sulla centralità del lavoro immateriale, della conoscenza e degli affetti. In tale contesto l'arte assume certamente nuove potenzialità, si trova a guadagnare efficacia in quanto strumento adatto alla decostruzione della narrazione ufficiale, dei linguaggi del potere, come mezzo in grado di problematizzare il confine apparentemente netto tra fiction e realtà. A proposito di contesti, credo valga la pena segnalare, in conclusione, la particolarità del S.A.L.E., spazio artistico no profit e, contemporaneamente, spazio di movimento. Il gruppo che anima il S.A.L.E. è composto da attivisti, studenti, artisti e lavoratori immateriali. Il progetto nasce dalla nostra riflessione intorno alla natura dello sviluppo che sta interessando una città come Venezia, la quale, già caratterizzata da più di un secolo di Biennale, sta, negli ultimi anni, investendo in maniera sempre più decisa nel settore dell'arte contemporanea. Ne sono prova l'operazione legata al miliardario francese Pinault che entra nella gestione di Palazzo Grassi e nella prossima apertura dei nuovi spazi espositivi di Punta della Dogana proprio a pochi metri dal S.A.L.E., la creazione di una nuova facoltà di Arti e Design, l'assegnazione alla Fondazione Vedova del magazzino adiacente al S.A.L.E. e, infine, l'idea di Comune di promuovere una stecca del contemporaneo che si dipani idealmente attraverso una porzione importante del centro storico. Tutte operazioni che denotano una progettualità lungimirante rispetto all'arte contemporanea, ma che corrono il rischio di esaurirsi in una strategia di mercato diretta al cosiddetto turismo d' élite. Da parte nostra, come attivisti, artisti e ricercatori crediamo che l'arte e la produzione culturale facciano parte di quel comune che dobbiamo conquistare e costruire e che possano, perciò, divenire uno strumento importante di critica rispetto al nostro tempo e, magari, forme efficaci di intervento e di mutamento del tessuto urbano. E' chiaro che tale compito spetta a noi in quanto attivisti, alle soggettività informali e di movimento; è per la loro natura stessa che le istituzioni, sia artistiche che politiche, letteralmente non possono rispondere a questa urgenza, ciononostante, possono cogliere il carattere di opportunità rappresentato da un'esperienza come, ad esempio, quella del S.A.L.E. e tentare di non ostacolarla. In questo senso, i pochi mesi di vita del S.A.L.E. hanno sollevato essenzialmente un problema; quello della natura di una città come Venezia che sembra aver scelto di dare in affitto il proprio destino, una città ricca di potenzialità, ma avara, per spazi e mentalità, nei confronti di quel tessuto sociale di studenti, attivisti e precari decisi a trasformare la città in “fabbrica”, anziché in teatro prestigioso di una contemporaneità costruita altrove. Il percorso del S.A.L.E. ha incontrato un grosso consenso ed è stato reso possibile dal nostro lavoro “dal basso” teso ad infilarsi in quegli stretti spiragli aperti dai modelli di governance impiegati dall'amministrazione. Ma oltre al consenso, com'era prevedibile, il S.A.L.E deve fare i conti con le resistenze di una parte importante della politica istituzionale cittadina, sia di destra che di sinistra, preoccupata di tenere sotto controllo l'immagine di una città in cui il decoro fornisca il make up alla degradante, questa sì in termini culturali, invasione del turismo di massa. Parti politiche felici di sostenere progetti artistici di grande richiamo, ma incapaci di relazionarsi quando l'arte tenta di prendere posizione, di partecipare, come nel caso del S.A.L.E. ai processi reali che definiscono il presente e forse il futuro, di una città.

LOST IN PRODUCTION

LOST IN PRODUCTION
4 5 6 ottobre 2007
Magazzini del sale – zona Punta della Dogana
Venezia
Apertura: h. 16.30

Lost in production nasce dall'iniziativa di un gruppo di persone consolidatosi negli anni scorsi intorno al Laboratorio Morion, a questo nucleo si sono affiancati artisti, grafici, vj e musicisti.
Lost in production rappresenta il momento di maturazione di un percorso intrapreso a partire dal 2005 con il “Mars Pavilion”, padiglione occupato ai Giardini della Biennale, continuato con lo spazio universitario “LAT” che ha dato un impulso significativo alla ricerca musicale ed al visual, proseguito con il “Laboratorio di cartografia partecipata” e conclusosi nel giugno del 2007 con "Challengers", iniziativa ospitata dal Morion in cui artisti, architetti e curatori di provenienza internazionale si sono succeduti dal vivo ed in videoconferenza durante tre giorni di incontri nonstop.
Lost in production vuole interrogarsi sullo stato attuale dell'arte e, più in generale, del lavoro immateriale in un momento in cui la comunicazione riveste un ruolo centrale nei processi produttivi.
Come riappropriasi dei linguaggi? Come recuperare le loro potenzialità critiche?
Lost in production, all'interno di una città come Venezia caratterizzata dai grandi eventi culturali formato Biennale e dalla significativa presenza di fondazioni multinazionali dell'arte, vuole aprire un percorso altro per la produzione artistica, un percorso fatto di autonomia, ricerca, e capacità di attraversamento critico delle istituzioni.
Lost in production vuole proporsi come punto di partenza per le nuove forme del dissenso che scelgono come strumenti privilegiati il linguaggio e la produzione artistica.

Cos'è S.A.L.E.

Il progetto S.A.L.E. nasce dalla convinzione che la produzione artistica e, più in generale, la produzione culturale, rappresentino due degli aspetti costituenti delle metropoli contemporanee.
L'aggettivo globale, infatti, può venire affiancato al sostantivo città solo in presenza di tessuti urbani in cui si concentrino aspetti produttivi legati al terziario avanzato, ai cossiddetti servizi d'eccellenza.
E' la produzione immateriale, quella basata sul lavoro cognitivo, sulla gestione delle reti di comunicazione e la produzione di linguaggi, a caratterizzare uno scarto di livello tra le città.
Ma la produzione di linguaggi non è appannaggio esclusivo delle forze produttive neoliberiste.
Le matropoli, infatti, si alimentano e crescono all'interno di una dialettica in cui il lavoro immateriale, gli affetti e la creatività vengono dispiegati dentro l'economia dei servizi, come accennato in precedenza, ma anche dentro ad un tessuto sociale diversificato che li declina in forma critica, libera da diritti d'autore e conflittuale.
Il progetto S.A.L.E. punta, all'interno di una città come Venezia, ad attivare questo secondo polo, a fornire alla città lagunare un luogo di produzione culturale senza cui essa rischierebbe di ritrovarsi sempre più fedele al proprio stereotipo di città museificata, punto d'attrazione di un turismo d'élite: bacheca prestigiosa di una contemporaneità fabbricata altrove.
L'arte contemporanea diventa l'ossatura del nostro progetto grazie alla sua natura di efficace sentinella dei linguaggi che strutturano le nostre società, grazie alla sua abilità nel decifrarli e remixarli e alla sua capacità di problematizzare il confine tra fiction e documentario, ma non solo.
Per noi del S.A.L.E. l'arte contemporanea ha la potenzialità di farsi produzione, cioè di non limitarsi a dover esprimere, ma di essere, in prima persona, veicolo di desideri individuali e collettivi, motore di produzione di realtà, di critica e di trasformazione della metropoli.
Il progetto S.A.L.E. ha l'ambizione di impiegare competenze "alte" partendo "dal basso", di lavorare costantemente con gli studenti d'arte delle facoltà veneziane e, contemporaneamente, di realizzare un programma di mostre e seminari in cui artisti di fama internazionale presentino lavori e punti di vista caratterizzati da una costante attitudine al confronto con le contraddizioni del presente.

Il progetto finale di allestimento degli spazi del S.A.L.E. prevede:
  • Uno spazio espositivo dedicato all'arte contemporanea e ai workshop.
  • Uno spazio Bookshop-booksharing

  • Uno spazio dedicato all'offerta musicale ed al teatro
  • Uno spazio internet-point/postazione grafica