lunedì 2 febbraio 2009

OPEN#1 Dal 5 al 28 febbraio

S.a.L.E.-Docks

Giovedì 5 febbraio dalle 18
Inaugurazione + No Seduction Dj set

S.a.L.E.-Docks inaugura Open#1.
Trentasette artisti, selezionati sulla base di un bando aperto, propongono un percorso tra fotografia, pittura, installazione e video.
Open approda alla sua seconda edizione con l'intenzione di mettere a disposizione di un gruppo di artisti emergenti i Magazzini del Sale, dunque offrendo uno spazio di visibilità all'interno di una città ricca di fermento, ma spesso poco fiduciosa nella possibilità di puntare sulle proprie potenzialità creative.
Se, da un lato, Open#1 ricalca il classico schema delle mostre costruite attorno ad un bando, dall'altro, si differenzia per le modalità della selezione.
Infatti, questa non è stata appannaggio esclusivo di uno o più esperti.
La parte della giuria, in questo caso, è stata assunta dall'interezza del gruppo di gestione del sale.
Un gruppo aperto, in cui la competenza si costruisce orizzontalmente a partire dall'articolazione delle competenze di ognuno, in un'ottica di un'implementazione potenzialmente infinita.
Dunque, la volontà di proporre uno spazio aperto alla fruibilità di un gruppo di artisti, si accompagna ad una metodologia di produzione (di eventi e di discorso) che vede le energie creative di Venezia (studenti, artisti, ricercatori, grafici, operatori museali, lavoratori del settore della cultura) protagoniste in prima persona della creazione di ciò che le riguarda, della sua messa in mostra e della riflessione intorno al nodo di ciò che significa produrre cultura all'interno di un determinato contesto.
Si tratta di problematiche complesse rispetto a cui il S.aL.E. Si pone come arena permanente di confronto. Open#1, dal canto suo, è un'importante conseguenza di questo modo di porsi e, allo stesso tempo, un nuovo punto di partenza per altre riflessioni possibili.

Web: saledocks.blogspot.com (nuovo sito in costruzione)
mail: saledocks@gmail.com


ARTISTI

Enzo Comin

Matteo Quinto

Alberto Scodro

Claudia Rossini

Lorenzo Bianchini

Aleksander Veliscek

Andrea Fabbro

Paola Pasquaretta

Marianna Marchioro

Ugo Carmeni

Gianluca Ferrari

Kilroy

Charles Heranval

Miriam Ferrari

Viola Braunizer e Bernard Blanc

Martina Coral

Claudia Vatteroni

Luca Pagani

Osvaldo Cibils

Giordano Rizzardi

Marco Strappato

Irma Vecchio

Aleph Tonetto

Nervo&Tes Gennaro Rino Becchimanzi e Paola Setti

Mentore Veneziani

Alberto Magrin

Giulio Jugovach

Francesco Zorzella

Giulio Zanet

Tanina Cuccia

Maurizio Di Zio

Francesco Burlando

Chiara Merlo

Linda Carrara

Marzia Gallinaro

Marcello Tedesco

Marianna Anoardi

OPEN#1

Guilty At The Dock


"Guilty At The Dock".
Ovvero, i colpevoli sul banco degli imputati.
Di cosa?
La provocazione sta tutta qui, i graffiti, il writing vivono sotto la continua minaccia di una repressione sempre più incalzante ed esplicita; ormai all' ordine del giorno sono gli arresti e le perquisizioni, i processi.
Nello specifico della nostra città, Venezia durante lo scorso anno sono state compiute perquisizioni nelle case di writers locali ed aperta un indagine della quale non sono ancora resi noti i capi d’ accusa.
Questa direzione politica verso la tolleranza zero, questo continuo inasprimento delle retoriche di sicurezza è, secondo noi, il reale danno alla cultura ed è da combattere: dietro una propaganda ignorante si cerca di creare la legittimità per ampliare i meccanismi di controllo sociale.
Utilizzando lo spauracchio del criminale, quindi del writer, dell’ ultras o dell’immigrato clandestino si accetta di vivere osservati continuamente da occhi digitali di telecamere puntate su luoghi pubblici, angoli di città dove tutto è raccolto, tutto è registrato, dove la spontaneità talvolta è punita.
"Guilty At The Dock" si presenta come il secondo capitolo di un progetto di mostre dedicate al writing da parte del S.A.L.E.
"Guilty At The Dock" intende indagare a fondo ed esporre quale sia la reale natura di questa forma d’arte, di cui un carattere essenziale è l’espressione spontanea sui supporti che offre la città, quindi si manifesta nell' illegalità.
Da questa spontaneità si creano quegli elementi che fanno dell’ writing, e dell’arte di strada in generale, una reale forma di attivismo sociale e forse artistico: dipingere le superfici dei treni o dei muri anonimi di città e periferie è un chiaro tentativo di evasione dall’alienazione che caratterizza la modernità, di ribellione rispetto all’omologazione dei segni e delle espressioni.
Si tratta di un "arte" povera che lotta per rimanere tale, che ruota intorno alla creatività spontanea, trasforma di fatto l’alienazione in riflessione e rompe l’orizzonte di segni e linguaggi standardizzati e ripetuti.

S.A.L.E. Docks (www.sale-docks.org)
+
Urban-Code (www.urban-code.it)

URBAN SKIN

Saggio di dermatologia urbana. Progetto installativo di Ogino Knauss
Venezia 11.9 /3.10
SALE – Magazzini del sale
Dal Mercoledì alla domenica dalle 15 alle 20

Opening
: giovedì 11 settembre alle 19

Sulla pelle della città
. Una maniera superficiale di guardare alla complessità urbana, non in senso riduttivo, ma propriamente fenomenologico: la pelle come successione di superfici sgnificanti, come elemento sensibile, come membrana filtrante. Una grammatica della separazione, un sistema di censura, una statificazione di segni. Percorrere, leggere, tastare, annusare, scorticare, incidere, stimolare la pelle della città. Un approccio epidermico all'ambiente urbano: l'approccio che ogino:knauss ha adottato per affrontare il paesaggio globale in trasformazione, impiegando una attenzione superficiale e divagante ai microfenomeni che costellano gli interstizi e le periferie dell'organismo urbano. La superficie sensibile della città viene indagata come indice di tensioni sotterranee, sintomo di profonde trasformazioni che avvengono al suo interno. L'attenzione va al dettaglio trascurato, ai segni dissonanti, alle crepe e alle screpolature del tessuto, al desueto, all'opaco, al rimosso, al transitorio. Tracce di sparizioni e di sopraffazioni, di irritazione e di rivolta, di straniamento e alterità. Un corpo a corpo istintivo, messianico, teso all'ascolto, alla risonanza, all'analisi del ritmo; a catturare la pulsazione ed il respiro della città.

Urban skin
è un processo di indagine compiuto attraverso esplorazioni puntigliose e programmatica flanerie, catturando segni e tracce, e riporpopnendole in forma molteplice, in continua evoluzione e ridefinizione. La città viene accarezzata, suonata e remixata. Ricognizioni fotografiche e regisrazioni ambientali sono il punto di partenza di un processo che utilizza la modalità live come verifica istintiva e stimolo improvvisativo per reinterpretare le impressioni catturate. Dopo le tappe performative di Brussels, Berlino e Trento, il progetto approda al SALE di Venezia per sedimentarsi come istallazione fotografica e audiovisiva. Essa è integrata, come è pratica abituale di oginoknauss, da un intervento locale, attraverso una deriva aperta al pubblico, che cercherà di integrare l'esplorazione sin qui condotta con una riflessione contestuale alle istanze di Venezia, confrontandosi con temi ruvidi e grumosi come la la crisi dell'abitare, la riconversione all'economia culturale, lo snaturamento dello spazio pubblico.

Ogino Knauss
, collettivo attivo dal 1995, opera nel corso degli anni una deriva costante tra i linguaggi e le pratiche della comunicazione. Nato come laboratorio di cinema mutante in uno spazio autogestito di Firenze, ha oggi la sua sede operativa a Berlino. In tempi più recenti l'attenzione del gruppo si concentra sugli influssi della globalizzazione sul paesaggio urbano, sviluppando pratiche innovative di ascolto e descrizione dei processi culturali della città, e sull'esplorazione di di reti innovative, spazi eterotopici e alternative alle forme dominanti di produzione. Tra progetti più recenti del gruppo, Triplicity è una riflessione multiforme e multipiattaforma sulla relazione intrecciata tra produzione di immagine e produzione spaziale nel contemporaneo, ed è pubblicata in un DVD interattivo da AVrec; Doble Forza, è un documentario su un sobborgo alla periferia de La Habana costruito negli anni settanta; un lavoro che costituisce il pilota per il progetto Re:centering Periphery, serie di reportages sulla produzione di periferie, sull'ideologia modernista che ha derterminato l'ambiente fisico in cui una enorme parte della popolazione globale vive tuttora, e sulle pratiche quotidiane che abitano, trasformano e rinventano tale ambiente.

www.oginoknauss.org info@oginoknauss.org

Un progetto di ogi:noknauss
Concezione e sviluppo Lorenzo Tripodi, Manuela Conti
Fotografia e editing: Manuela Conti,
Produzione Sonora: Michele Lancuba
Siluppo applicazioni, trattamento immagine: Sergio Segoloni

Evento Prodotto da SALE-Signs and Lyrics Emporium, Venezia

Multiversity - L’arte della sovversione

16-17-18 maggio2008

L’evento “Multiversity, ovvero l’arte della sovversione” nasce da un lavoro congiunto di Uni.Nomade e S.a.L.E. (Signs and Lyrics Emporium), tra una rete transterritoriale di militanti e ricercatori impegnati nell’analisi critica dei temi della contemporaneità e uno spazio autogestito, S.a.L.E. docks, nato alcuni mesi fa a Venezia con lo scopo di intervenire praticamente sul terreno della produzione culturale. Terreno che, non solo a Venezia, si è ormai affermato quale ambito privilegiato per gli attuali processi di valorizzazione del capitale.

Se infatti ci si concentra sull’arte contemporanea, tale indiscutibile importanza è riscontrabile su almeno tre livelli.
Il primo è quello del ruolo centrale che beni immateriali e saperi, creatività e affetti, attitudini relazionali e comunicative vengono ad assumere per le forme contemporanee del modo di produrre: la produzione artistica non può sfuggire a questa centralità.
Il secondo è quello del rapporto tra produzione culturale e metropoli, dove l’intreccio tra urbanistica e architettura, moda e design, arte e letteratura, in quello spazio produttivo sociale per eccellenza che sono i bacini urbani, diviene da un lato elemento cruciale nei processi di soggettivazione attraverso i quali si costituisce la molteplicità di forme di vita che li abitano, dall’altro fattore decisivo per definire il posizionamento strategico di ciascuna area metropolitana nella competizione economica tra città globali.
Il terzo è quello del rapporto tra mercato dell’arte e capitale finanziario: a livello globale, banche e multinazionali sono tra i principali investitori in un settore che appare oggi come l’unico a non essere neppure sfiorato dalla crisi che investe il sistema mondiale della circolazione di denaro.

Ciò che vediamo all’opera è un complesso apparato di cattura, che il capitale ha messo in campo nei confronti dei flussi plurali di produzione culturale informale, a partire dall’appropriazione della capacità cooperante di singole intelligenze e singoli modi di vita, per assicurarsi la messa a valore di quello che è stato definito il “capitale simbolico collettivo”. La complessità di queste dinamiche dipende da un duplice meccanismo di sfruttamento, il cui primo aspetto è costituito dalle gabbie della proprietà intellettuale e da ogni ulteriore momento di privata appropriazione del sapere sociale generale, mentre il secondo è quello del rapporto parassitario che viene a stabilirsi nei confronti della produzione creativa da parte di quegli interventi speculativi, che si determinano nel corpo della metropoli là dove si costruiscono istituzioni statali e private, grandi eventi e fiere legati all’arte, distretti e meta-distretti culturali.

Ciò in cui l’esperienza del S.a.L.E. vuole immergersi criticamente, ciò che l’evento Multiversity ha deciso di affrontare problematicamente, si chiama “fabbrica della cultura”, ovvero il luogo della valorizzazione del capitalismo cognitivo, ma che tale è solo nella misura in cui è, prima di ogni altra cosa, il luogo della potenza della soggettività creativa, dell’espressione delle moltitudini, e, di conseguenza, lo spazio di un quotidiano corpo a corpo tra libertà della creazione e autonomia della cooperazione, da un lato, e dispositivi del dominio e dello sfruttamento di questa potenza produttiva, dall’altro. E’ alla luce di ciò che, all’interno di Multiversity, verranno presentati, discussi e confrontati con le più avanzate esperienze europee e globali i primi risultati, seppur parziali, di un’inchiesta sul precariato cittadino legato all’arte contemporanea e al lavoro immateriale. Qui, la questione principale è quella della comprensione dei comportamenti diffusi e delle modalità d’intervento che possono trasformare una composizione sociale, già centrale nelle forme di produzione contemporanee, in una composizione politica. Verrà inoltre affrontato il nodo del ruolo che la formazione universitaria, per un verso, e le reti della comunicazione, per un altro, svolgono all’interno della più complessiva organizzazione del lavoro nella “fabbrica della cultura”.

Premessa indispensabile a questa discussione è il confronto intorno all’arte contemporanea intesa come “istituzione sociale allargata”: dalla vicenda storico-artistica che ha spinto l’arte del Dopoguerra dallo spazio trascendentale della specificità mediale allo spazio sociale con i suoi rapporti di forza, alle relazioni che si stabiliscono tra arte, movimenti sociali e attivismo culturale al di fuori di ogni retorica avanguardistica, ai modi della cattura da parte del sistema artistico istituzionale e dei circuiti della finanziarizzazione nei confronti di un vasto patrimonio di pensiero critico e di modi di vita conflittuali. Per queste ragioni, l’evento Multiversity sarà articolato in tre sessioni seminariali:

*1. Arte e attivismo*
Si intendono qui problematizzare la vicenda storica e le forme contemporanee dell’intreccio tra arte e attivismo. Alcune delle domande da cui partire saranno le seguenti. Attraverso quale percorso si è passati da una concezione dell’opera come trascendenza ad una concezione della stessa come oggetto, processo o dinamica in grado di intervenire all’interno dello spazio-tempo dell’uomo e, successivamente, all’interno dei processi sociali? Come si è passati da un criterio di giudizio dell’opera basato su di una topografia delle sue caratteristiche materiali ad uno fondato, invece, sull’analisi della sua funzione, ovvero della sua efficacia in termini sociali? Come funziona oggi, in epoca postfordista, l’arte attivista? Qual’è, una volta abbandonata ogni retorica avanguardista, la posizione dell’arte e degli artisti rispetto ai movimenti?

*2. Arte e mercato: tra libertà creativa e cattura finanziaria*
Questo secondo punto deve necessariamente muovere da una raccolta di dati sulle dimensioni del mercato dell’arte e dal suo rapporto con il capitale finanziario. L’arte viene qui assunta come esempio di valore paradigmatico a causa di un paradosso estremo che la interessa: se il lavoro artistico esprime un livello massimo di libertà creativa, allo stesso tempo esso subisce la massima fissazione all’interno del capitale finanziario.

*3. Arte e moltitudine: per l’inchiesta su composizione sociale, conflitti e organizzazione del lavoro vivo dentro la “fabbrica della cultura”*
In questa sezione andrà affrontato il nodo dei rapporti tra singolarità e moltitudine, e tra produzione individuale e costruzione del comune. Due sono i piani di ricerca su cui procedere parallelamente. Il primo è storico-artistico e riguarda i tentativi che, a partire dagli anni Sessanta, sono stati sviluppati dagli artisti in risposta alla retorica del genio individuale, fino alle attuali piattaforme di produzione collettiva legate alla affermazione e alla diffusione dell’hacking sociale. Il secondo piano riguarda l’inchiesta rispetto alla composizione sociale del precariato cresciuto attorno all’indotto dell’industria culturale. Dagli studenti nei circuiti della formazione ai precari delle cooperative che si occupano di logistica e allestimento, agli stagisti, ai networkers, ai consulenti a progetto e a partita Iva fino a quel ceto globale di artisti e di figure professionali intenzionate a divenire parte integrante del sistema internazionale dell’arte. Di tutta questa ampia galassia sociale dovremo indagare condizioni materiali di vita e di lavoro, bisogni e aspirazioni, desideri e possibili rivendicazioni. Tutto questo per arrivare al punto chiave: come trasformare questa composizione sociale in una composizione politica?

Audio e abstract del seminario

http://www.globalproject.info/art-16007.htmlt-16007.html

Situazionist Workshop By Za!Revue




Za!Revue, rivista grafica indipendente e aperiodica, organizza con S.A.L.E. Docks
un workshop della durata di una settimana incentrato sulla libera collaborazione collettiva.
L'obiettivo sarà la creazione di un artefatto editoriale.
Ogni persona è invitata a mettere in gioco la propria creatività tramite illustazioni,foto, grafiche, testi, clip e chi più ne ha più ne metta.
Il filo conduttore della settimana sarà la "situazione", intesa come momento e luogo in cui pensieri diversi si troveranno ad operare con lo scopo di produrre un'interpretazione dell'ambiente e dell'istante stesso della creazione.

Za!revue metterà a disposizione tutto il materiale e l'esperienza accumulati nella produzione di quattro numeri e seguirà le diverse fasi progettuali.

Il tutto è finalizzato alla creazione di un libro/poster che sarà l'insieme dei contributi di tutti i partecipanti, che ne riceveranno delle copie stampate in offset.

Il risultato del workshop sarà reso pubblicamente visibile durante la festa finale di giovedì 22 novembre:
Tutte le pagine create da chi avrà preso parte al workshop verranno mostrate sottoforma di proiezioni video mixate al vj set di Za!vsBiologic, che accompagnerà il live dei Bigammadre (dub-rock sperimentale) e il dj set dub-wise di Recipient.cc e Von Bob.
Il primo incontro si terrà giovedì 15 novembre alle ore 18.
Verrano proposte delle linee guida, libere e flessibili, dalle quali partire per la relizzazione del progetto e saranno stabiliti insieme ai partecipanti gli orari più convenienti da fissare.

Il costo di iscrizione è di dieci euro, da versare il primo giorno di workshop.
Ci si puÚ iscrivere direttamente sul posto, ma il numero massimo di iscritti è limitato a trenta persone ed è quindi possibile effettuare la preiscrizione via mail o telefono per riservarsi il diritto di partecipazione.
Per ulteriori informazioni:
www.zarevue.org
http://www.zarevue.org/venice/pmwiki.php
www.sale-docks.org

Trouble makers



Ci sono alcune parole chiave utili a collegare i lavori in mostra: spazio pubblico, movimenti sociali, inchiesta, documentario, lavoro.
E'un diagramma che descrive un “fuori artistico” e rimanda, inevitabilmente, ad una costellazione postmediale che solo un piccolo amo immaginario potrebbe tenere ancorata alla storia dell'arte.. Ma l'amo è immaginario, appunto, superflua la sua funzione d'appiglio. Infatti, il superamento della specificità mediale è un processo avviato a partire dagli anni Sessanta per merito del Minimalismo attraverso la sua caratterizzazione dell'opera come esperienza percettiva, vale a dire calata all'interno dello spazio degli oggetti e dei corpi piuttosto che in quello trascendentale proprio della pittura tardo-modernista. Spazio che per alcuni artisti degli anni Settanta diventa sociale, istituzionale e come tale indagato in tutte le relazioni di potere ed i rapporti di forza che lo attraversano. E' in questa decade che il contenitore diventa contenuto, in quella traslazione che un critico ha definito come l'ultima forma dell' accademismo modernista. La specificità del sito sostituisce la specificità mediale, trasformando lo spazio museale da luogo di storicizzazione a luogo di produzione, spingendo l'arte, secondo un altro punto di vista piuttosto critico, tra le braccia dell'industria culturale. Questo movimento di deterritorializzazione dell'opera che inghiotte la cornice e le peculiarità del medium non è, naturalmente, un processo lineare e progressivo. Dopo l'accelerazione impressa dal ventennio Sessanta-Settanta, si registrano spinte di reazione, correnti che, in particolare negli anni Ottanta, grazie al sostegno del mercato, lavorano per un ritorno alla pittura, alla figurazione, ai media tradizionali. Dunque, nonostante il sospetto d'accademismo e l'odore di industria culturale (critiche che è certamente giusto non sottovalutare) questo movimento di deterritorializzazione dell'opera, questo mutamento ontologico si dà come uno dei fondamentali momenti di rottura con il tardo modernismo di matrice greenbergiana, con il suo anelito alla purezza, all'eliminazione di tutti quegli elementi non immediatamente incolonnabili sulla linea della tradizione artistica e, perciò, percepiti come kitchs. Da questa sommaria genealogia si evince il percorso che ha condotto ad una modificazione sostanziale dei criteri del giudizio artistico; se l'opera eccede la cornice per indagare lo spazio sociale ed istituzionale, allora ciò che importa sarà l'analisi della sua funzione, ovvero del suo effetto sociale. In questo senso l'arte legata ai movimenti sociali può essere vista come una prosecuzione di tale traiettoria di allargamento dei confini dell'opera. Se l'oggetto minimalista aveva in qualche modo incrinato la convinzione nell'autonomia dell'opera d'arte, offrendole invece una linea di fuga verso lo spazio sociale attraverso la sua attenzione alle caratteristiche materiali del contesto espositivo ed alla sua necessità di essere esperito piuttosto che letto, oggi, l'arte legata all'attivismo può permettersi di dare per acquisito questo passaggio, di abbandonare il riferimento diretto allo spazio galleristico per prendere in considerazione le contraddizioni di spazi politici, economici e sociali sia locali che globali. Essa può, ad esempio, rivolgersi alla forma documentario, non tanto per affrontare attraverso di esso l' analisi delle peculiarità tecniche del video digitale, quanto, piuttosto, per sfruttarne le caratteristiche di flessibilità di impiego ed economicità allo scopo di farne un mezzo di inchiesta, uno strumento conoscitivo rispetto al nostro tempo ed ai movimenti sociali contemporanei. La forma documentario, inoltre, potrebbe venire facilmente indicata come uno dei principali strumenti di auto-rappresentazione, elemento vitale per sfuggire alle distorsioni dei media ufficiali, eppure c'è qualcosa di più. In questa mostra, infatti, la quasi totalità degli artisti è formata da attivisti o, perlomeno, da persone che in passato hanno intrapreso un percorso di militanza. Nelle loro mani il documentario perde la sua caratteristica di apparente imparzialità per diventare un vero e proprio atto di partecipazione nella definizione di una soggettività in lotta. Certo non possiamo giungere a conclusioni risapute e scontate, non si tratta qui di far coincidere l'arte con l'attivismo politico, di far sparire la prima nel secondo, di fonderli. Si tratta piuttosto di accettare che l'arte faccia rizoma, ovvero che proceda all'interno di un'infinità di processi di deterritorializzazione e riterritorializzazione, che essa si faccia veicolo di desiderio capace di innestarsi sulla dimensione politica, sociale, economica, per poi tornare a riferirsi alle vicende della storia dell'arte, a citarla, criticarla, legittimarla, in poche parole, a farne parte. Non si tratta della vecchia questione di far coincidere arte e vita, artista e produttore, ma si tratta piuttosto di accettare la loro differenza come elemento non esclusivo, come un ponte utile a collegarli piuttosto che un baratro che li divide. Si tratta, inoltre, di accettare una sfida del nostro tempo, del nostro modello di produzione postfordista basato sulla centralità del lavoro immateriale, della conoscenza e degli affetti. In tale contesto l'arte assume certamente nuove potenzialità, si trova a guadagnare efficacia in quanto strumento adatto alla decostruzione della narrazione ufficiale, dei linguaggi del potere, come mezzo in grado di problematizzare il confine apparentemente netto tra fiction e realtà. A proposito di contesti, credo valga la pena segnalare, in conclusione, la particolarità del S.A.L.E., spazio artistico no profit e, contemporaneamente, spazio di movimento. Il gruppo che anima il S.A.L.E. è composto da attivisti, studenti, artisti e lavoratori immateriali. Il progetto nasce dalla nostra riflessione intorno alla natura dello sviluppo che sta interessando una città come Venezia, la quale, già caratterizzata da più di un secolo di Biennale, sta, negli ultimi anni, investendo in maniera sempre più decisa nel settore dell'arte contemporanea. Ne sono prova l'operazione legata al miliardario francese Pinault che entra nella gestione di Palazzo Grassi e nella prossima apertura dei nuovi spazi espositivi di Punta della Dogana proprio a pochi metri dal S.A.L.E., la creazione di una nuova facoltà di Arti e Design, l'assegnazione alla Fondazione Vedova del magazzino adiacente al S.A.L.E. e, infine, l'idea di Comune di promuovere una stecca del contemporaneo che si dipani idealmente attraverso una porzione importante del centro storico. Tutte operazioni che denotano una progettualità lungimirante rispetto all'arte contemporanea, ma che corrono il rischio di esaurirsi in una strategia di mercato diretta al cosiddetto turismo d' élite. Da parte nostra, come attivisti, artisti e ricercatori crediamo che l'arte e la produzione culturale facciano parte di quel comune che dobbiamo conquistare e costruire e che possano, perciò, divenire uno strumento importante di critica rispetto al nostro tempo e, magari, forme efficaci di intervento e di mutamento del tessuto urbano. E' chiaro che tale compito spetta a noi in quanto attivisti, alle soggettività informali e di movimento; è per la loro natura stessa che le istituzioni, sia artistiche che politiche, letteralmente non possono rispondere a questa urgenza, ciononostante, possono cogliere il carattere di opportunità rappresentato da un'esperienza come, ad esempio, quella del S.A.L.E. e tentare di non ostacolarla. In questo senso, i pochi mesi di vita del S.A.L.E. hanno sollevato essenzialmente un problema; quello della natura di una città come Venezia che sembra aver scelto di dare in affitto il proprio destino, una città ricca di potenzialità, ma avara, per spazi e mentalità, nei confronti di quel tessuto sociale di studenti, attivisti e precari decisi a trasformare la città in “fabbrica”, anziché in teatro prestigioso di una contemporaneità costruita altrove. Il percorso del S.A.L.E. ha incontrato un grosso consenso ed è stato reso possibile dal nostro lavoro “dal basso” teso ad infilarsi in quegli stretti spiragli aperti dai modelli di governance impiegati dall'amministrazione. Ma oltre al consenso, com'era prevedibile, il S.A.L.E deve fare i conti con le resistenze di una parte importante della politica istituzionale cittadina, sia di destra che di sinistra, preoccupata di tenere sotto controllo l'immagine di una città in cui il decoro fornisca il make up alla degradante, questa sì in termini culturali, invasione del turismo di massa. Parti politiche felici di sostenere progetti artistici di grande richiamo, ma incapaci di relazionarsi quando l'arte tenta di prendere posizione, di partecipare, come nel caso del S.A.L.E. ai processi reali che definiscono il presente e forse il futuro, di una città.

LOST IN PRODUCTION

LOST IN PRODUCTION
4 5 6 ottobre 2007
Magazzini del sale – zona Punta della Dogana
Venezia
Apertura: h. 16.30

Lost in production nasce dall'iniziativa di un gruppo di persone consolidatosi negli anni scorsi intorno al Laboratorio Morion, a questo nucleo si sono affiancati artisti, grafici, vj e musicisti.
Lost in production rappresenta il momento di maturazione di un percorso intrapreso a partire dal 2005 con il “Mars Pavilion”, padiglione occupato ai Giardini della Biennale, continuato con lo spazio universitario “LAT” che ha dato un impulso significativo alla ricerca musicale ed al visual, proseguito con il “Laboratorio di cartografia partecipata” e conclusosi nel giugno del 2007 con "Challengers", iniziativa ospitata dal Morion in cui artisti, architetti e curatori di provenienza internazionale si sono succeduti dal vivo ed in videoconferenza durante tre giorni di incontri nonstop.
Lost in production vuole interrogarsi sullo stato attuale dell'arte e, più in generale, del lavoro immateriale in un momento in cui la comunicazione riveste un ruolo centrale nei processi produttivi.
Come riappropriasi dei linguaggi? Come recuperare le loro potenzialità critiche?
Lost in production, all'interno di una città come Venezia caratterizzata dai grandi eventi culturali formato Biennale e dalla significativa presenza di fondazioni multinazionali dell'arte, vuole aprire un percorso altro per la produzione artistica, un percorso fatto di autonomia, ricerca, e capacità di attraversamento critico delle istituzioni.
Lost in production vuole proporsi come punto di partenza per le nuove forme del dissenso che scelgono come strumenti privilegiati il linguaggio e la produzione artistica.

Cos'è S.A.L.E.

Il progetto S.A.L.E. nasce dalla convinzione che la produzione artistica e, più in generale, la produzione culturale, rappresentino due degli aspetti costituenti delle metropoli contemporanee.
L'aggettivo globale, infatti, può venire affiancato al sostantivo città solo in presenza di tessuti urbani in cui si concentrino aspetti produttivi legati al terziario avanzato, ai cossiddetti servizi d'eccellenza.
E' la produzione immateriale, quella basata sul lavoro cognitivo, sulla gestione delle reti di comunicazione e la produzione di linguaggi, a caratterizzare uno scarto di livello tra le città.
Ma la produzione di linguaggi non è appannaggio esclusivo delle forze produttive neoliberiste.
Le matropoli, infatti, si alimentano e crescono all'interno di una dialettica in cui il lavoro immateriale, gli affetti e la creatività vengono dispiegati dentro l'economia dei servizi, come accennato in precedenza, ma anche dentro ad un tessuto sociale diversificato che li declina in forma critica, libera da diritti d'autore e conflittuale.
Il progetto S.A.L.E. punta, all'interno di una città come Venezia, ad attivare questo secondo polo, a fornire alla città lagunare un luogo di produzione culturale senza cui essa rischierebbe di ritrovarsi sempre più fedele al proprio stereotipo di città museificata, punto d'attrazione di un turismo d'élite: bacheca prestigiosa di una contemporaneità fabbricata altrove.
L'arte contemporanea diventa l'ossatura del nostro progetto grazie alla sua natura di efficace sentinella dei linguaggi che strutturano le nostre società, grazie alla sua abilità nel decifrarli e remixarli e alla sua capacità di problematizzare il confine tra fiction e documentario, ma non solo.
Per noi del S.A.L.E. l'arte contemporanea ha la potenzialità di farsi produzione, cioè di non limitarsi a dover esprimere, ma di essere, in prima persona, veicolo di desideri individuali e collettivi, motore di produzione di realtà, di critica e di trasformazione della metropoli.
Il progetto S.A.L.E. ha l'ambizione di impiegare competenze "alte" partendo "dal basso", di lavorare costantemente con gli studenti d'arte delle facoltà veneziane e, contemporaneamente, di realizzare un programma di mostre e seminari in cui artisti di fama internazionale presentino lavori e punti di vista caratterizzati da una costante attitudine al confronto con le contraddizioni del presente.

Il progetto finale di allestimento degli spazi del S.A.L.E. prevede:
  • Uno spazio espositivo dedicato all'arte contemporanea e ai workshop.
  • Uno spazio Bookshop-booksharing

  • Uno spazio dedicato all'offerta musicale ed al teatro
  • Uno spazio internet-point/postazione grafica